La storia dei videogiochi: gli anni 2000
Posto che le attese sull’anno 2000, fatte di macchine volanti e robot lavoratori, furono decisamente disattese, e dopo che lo spauracchio “millennium bug” divenne solo una storia divertente da tramandare ai posteri, gli anni 2000 sancirono la definitiva consacrazione del videogioco come mezzo di intrattenimento accessibile a chiunque, non più solo di nicchia come negli ’80, non più limitato nei mezzi come nei ’90: i progressi in campo hardware e software permettevano di sognare, e di porre come unico limite l’immaginazione degli sviluppatori.
I player sono sempre gli stessi: Sony lancia Playstation 2 che – spoiler – vincerà a mani bassissime la gara con le console concorrenti; Nintendo ci prova con Gamecube, rivoluzionando per l’ennesima volta controller e supporto di gioco (e approdando per la prima volta ad un supporto visivamente simile ai CD) e facendo leva su titoli ed esclusive ormai consolidate, come Pokémon e l’onnipresente Super Mario, che per la seconda volta dopo “Mario is missing” per NES lascerà spazio al fratello Luigi in un videogioco interamente dedicato a lui (“Luigi’s Mansion”); SEGA vede in Dreamcast il canto del cigno, console partita con ottime premesse ma che non ha saputo reggere il confronto con i concorrenti.
Nota di costume: con gli anni 2000 inizia il dualismo calcistico tra i titoli FIFA di EA Sports e Pro Evolution Soccer di Konami, che a colpi di soundtrack, motore di gioco ed esclusive su squadre e campionati ancora oggi si contendono il mercato dei videogiocatori calciofili.
Inoltre, questo periodo è legato alla sesta generazione di console. Microsoft decide di fare il terzo incomodo nella faida tra Nintendo e Sony ma senza successo. Con SEGA fuori dai giochi (fallita dopo aver lanciato il DreamCast), la Sony fece il botto con il suo nuovo prodotto ovvero la PlayStation 2 diventando nel corso degli anni la console più venduta di tutti i tempi. Nintendo decise di replicare tornando sul mercato con il Nintendo DS dopo un flop ottenuto con il Gamecube. Questa nuova console portatile è dotata di due schermi sensibili al tatto ottenendo grandi successi tra i giocatori per l’innovazione portata nel campo dei videogiochi.
Nasce Nintendo Wii, PlayStation 3 e Xbox 360
In questi anni Nintendo decise di lanciare il suo nuovo prodotto ovvero il Nintendo Wii; un sistema bastato sui sensori di movimento ma con una grafica non dettagliata come si poteva trovare nei rivali. Proprio la concorrenza tra varie grandi aziende ha portato la Sony alla creazione della PlayStation 3 della console portatile PSP; dall’altro lato invece Microsoft replicava con il suo prodotto di punta ovvero l’Xbox 360; tuttavia entrambe le console furono battute dal Nintendo Wii nelle vendite. I primi dieci anni del duemila si chiudono con vari accessori per migliorare i giochi su console. Ogni azienda ha prodotto la propria miglioria per rendere al meglio le proprie piattaforme; Sony ha creato il PlayStation Move, Microsoft il Kinect e Nintendo il Wii MotionPlus.
Con “settima generazione avanzata” si intendono dunque queste periferiche di tecnologia avanzata che permettono un’interazione coi giochi diversa da quella normale. Tali periferiche rilevano i movimenti del giocatore (infatti vengono usati principalmente per giochi sportivi o mimici) e in generale si definisce “generazione avanzata” quando vi sono delle periferiche che escono solo in seguito al fine di creare una interazione diversa coi videogiochi, che si è manifestata con il movimento, ma in realtà potrebbe essere con molti altri tipi di tecnologie. Questa generazione è stata dominata dalle console Nintendo sia nelle console casalinghe sia nelle console portatili.
Quali sono quindi i titoli più rappresentativi del genere di cui i giocatori hanno potuto godere con l’inizio dei dorati anni 2000?
In particolar modo, l’esplosione del genere degli FPS su console – genere in precedenza ad uso e consumo quasi esclusivo dell’utenza PC – ha permesso ai vari team di proporre campagne di gioco realmente appassionanti, specie se accompagnati da un secondo giocatore. Impossibile non citare quindi il re degli sparatutto su console, il quale ha dato il là all’esplosione dei First Person Shooter sulla prima Xbox (e successivamente anche sulla ben più prestante Xbox 360). Halo 2, in particolare, permetteva di cimentarsi in una modalità cooperativa a due giocatori molto più bilanciata rispetto a quella presente nel capitolo originale (anche se purtroppo non era possibile giocare via lan o Xbox Live ma solo in split-screen) grazie alla quale – specie se giocata a livello Eroico o Leggendario – dava realmente l’idea di cosa voleva dire giocare allo sparatutto co-op perfetto. Master Chief e l’Arbiter erano la punta di diamante di quegli anni, sensazione raddoppiata (per non dire quintuplicata) nei successivi episodi della serie, ossia Halo 3 e Halo 3: ODST. Halo: Reach è invece l’eccezione che conferma la regola: il titolo sviluppato da Bungie permetteva infatti di affrontare la campagna (nonché la modalità Sparatoria) in compagnia di altri tre giocatori, sia in rete locale che online via Xbox LIVE. Grazie al matchmaking era in ogni caso possibile non rimanere in disparte, qualora non vi fossero stati amici disposti ad accompagnarci all’interno dell’avventura. Il risultato, al netto di alcuni difetti di percorso endemici del genere di appartenenza, era semplicemente esaltante.
Ma FPS in quegli anni non stava a significare solo Halo: Gearbox propose infatti un particolarissimo titolo che fondeva le classiche meccaniche sparacchine ad altre tipiche dei giochi di ruolo, unite a un sistema di loot assolutamente esilarante (e assuefacente), specie per la possibilità di godere di tutto questo in compagnia di altri tre avventurieri fuori di testa come noi, sia online che offline nella stessa stanza. Stiamo chiaramente parlando di Borderlands 2, noto anche come “la fine della vita sociale”, nel senso più vero del termine: una campagna pressoché infinita e il gunplay assuefacente del titolo sono tra l’altro stati riproposti nella Handsome Collection (contenente anche l’altrettanto valido primo episodio), apparsa su PS4 e Xbox One diversi anni fa.
Tuttavia, c’è un’altra grande saga che merita di essere menzionata: il primo, storico Gears of War – una delle più grandi prove muscolari del chip grafico di Xbox 360 – ci dava modo di vestire i panni di Marcus Fenix e reclutare un amico per impersonare il compagno d’armi Dominic Santiago, attraverso l’intera campagna affrontata in modalità cooperativa. Epic Games non si fermò negli anni successivi, proponendo con Gears of War 3 la possibilità di affrontare la storia in quattro giocatori, dando così modo a una vera e propria squadra di eliminatori di Locuste di dar sfogo ai loro Lancer. Un po’ meno rilevanti, ma altrettando divertenti, i rispettivi capitoli di Army of Two e Kane & Lynch, due serie di sparatutto in terza persona fondate solo ed esclusivamente sul gioco di squadra, con risultati tutto sommato discreti (seppur senza far gridare al capolavoro).
Giocare in cooperativa non significa in ogni caso imbracciare sempre e solo un fucile, facendo fuori tutto ciò che si muove. Cooperare vuol dire anche e soprattutto aiutare il proprio partner a uscire da situazioni di pericolo e se c’è un titolo che ha fatto tesoro di questo semplice ma importante concetto di base, questi è il bellissimo Brothers: A Tale of Two Sons. Sviluppato dalle stesse menti che hanno da poco rilasciato l’altrettanto meritevole A Way Out, Brothers racconta la storia di due fratelli in un mondo fantasy dalle atmosfere tristi e avvolte in una perenne malinconia: questi decidono di partire per una missione importante, al fine di recuperare la preziosa Acqua della Vita, fluido miracoloso in grado di curare la malattia del padre, ormai morente. Un titolo, quello degli Starbreeze, che però ha una caratteristica molto particolare: è un gioco singleplayer. Non sarà infatti possibile affrontare l’avventura principale né in coppia sulla stessa console, né tanto mento online (entrambi i protagonisti sono infatti controllabili con ambedue le leve del controller). Per quale ragione, quindi, abbiamo deciso di citarlo? Perché si tratta a conti fatti di uno di quei titoli in grado di trasmettere il concetto di “cooperazione” come pochi videogiochi prima d’ora (oltre ad essere un prodotto realmente sensazionale sotto numerosi aspetti). Chiunque lo abbia giocato – o sarebbe meglio dire vissuto – sino allo struggente finale prima dei titoli di coda, sa benissimo di cosa stiamo parlando.
Tappe in ordine cronologico
- La storia dei videogiochi – Introduzione
- La storia dei videogiochi: 1948-1972, l’inizio di un nuovo genere
- La storia dei videogiochi: gli anni ’70
- La storia dei videogiochi: gli anni ’80 – Parte 1
- La storia dei videogiochi: gli anni ’80 – Parte 2
- Gli anni ’90
- Gli anni 2000
- Gli anni 2010
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